Quanta fatica traversar quel bosco
irto d’arbusti spinosi e sterpaglie
che laceran le sure e nelle maglie
d’infante prigioniero resti fosco.
Paludi ancor t’invischiano e conosco
orchi e trambusti onerosi e battaglie;
ch’affiorin quasi impure le avvisaglie
e intanto ne vai fiero, quasi losco.
Eppur l’ambita luce in lontananza
emerge fioca, ma pregna di speme,
di fede nel presente e nell’attesa;
non prede degli eventi, è già ripresa,
deterge e invoca, ora degna, e si freme.
Ancor vita conduce, ormai s’avanza!
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Luce
Nel buio giunge il caos caliginoso,
che mesce ancor le carte e già travolge
e fuia punge l’alma, ense ferroso;
s’attendon già quei raggi di tepore,
un fascio al cor che parte e si rivolge
e splendon come a maggio rose in fiore.
Fu Luce, ormai caligin si dirada,
conduci e Vita origini, ch’instrada.
Attesa
Volgomi intiero nell’atro del lago,
donde la luna si specchia completa,
pallido globo ch’appare a compieta,
con il mio sprito mai sazio né pago.
Siedo raccolto sul madido prato,
integro odo ed osservo coll’alma.
S’in superficie apparente v’è calma,
dentro quell’acque è continuo boato.
Agile e pigra, tempesta cangiante,
d’animo equo, di speme, dolente,
muta la forma la flora impotente,
serva di Luce Assoluta imperante.
Volgomi a te, o mio Lume potente,
ch’inesorabile al fato mio guidi,
per la miseria mia tutta m’irridi,
e nel tuo braccio mi sciolgo accogliente.