Giaccio contratto in angusta strettoia,
scura colpisce alla giugula gonfia,
umbra cui cedo pietosa ampia e tronfia,
nelle sue fauci mi mastica e ingoia.
Croce repente lanciata alle spalle,
grave maligno che l’alito strozza,
pasto di globi di vitro m’ingozza,
incido breve dal picco alla valle.
Ecco improvviso dinnanzi si pone,
sin volontà né adigendo la scelta,
ormai spossato coll’alma divelta,
spirito affin che discioglie coazione.
Verbi e poemi e pigmenti promuove,
salso l’effluvio liquefa la furia,
netta ed illustra, rimuove l’incuria,
dona copiosa acritudini nuove.
Fuggo dal buio, levato d’impaccio,
spiro per fin mentre ambulo lieve,
col capo sciolto in quest’aere sì greve,
miro l’occaso, recluso all’addiaccio.