Ascolto “Heaven Is A Place On Heart” di Belinda Carlisle e realizzo che il momento migliore della settimana è proprio il sabato pomeriggio, dopo pranzo. Mi piace sculettare eccitata come una fichetta nella solitudine del mio studiolo, mentre mi tornano alla mente i gloriosi anni ’80, i tempi in cui ero tesserata con il PSI e le mie gote si facevano di bragia tutte le volte che in televisione compariva il mio grande amico Bettino Craxi, del quale ero segretamente innamorata e verso cui erano rivolte le mie fantasie più sconce. Mi tornano alla mente i gloriosi tempi della perestrojka, la golosa voglia al cioccolato sul succulento cranio sovietico di Mikhail Gorbaciov, mentre mi sollazzo in quella pia illusione che mi porta a pensare a un fine settimana che possa non finire mai, un eterno weekend di danze scatenate, di drinks e di flirts, ben sapendo che, ahimè, tra ventiquattro ore, esattamente a quest’ora, una sussurrante angoscia farà capolino, a ricordarmi che il tempo stringe e il dì seguente mi toccherà fare ritorno alle mie fatiche di esorcista, ma anche di madre, donna, operaia ed eroina multitasking, ostentando la mia forza nei confronti di mio marito, per il solo gusto di dimostrargli quanto io sia meglio di lui, quando invero si tratta solo di un tentativo patetico di occultare la mia fragilità e la mia insicurezza.
Mentre ondeggio le mie chiappette strette, penso nostalgicamente alla nostra Italia. Rifletto su come non si possa fare a meno di amare questo paese, per le sue bellezze artistiche, per i suoi borghi, per la ricchezza e la varietà di posti da visitare, per le culture, le lingue e i dialetti, per la sua gastronomia, per i suoi vini, per alcune eccellenze industriali, per la sua Costituzione. Penso che sia impossibile odiare l’Italia, benché afflitta, ahimè, dai mali che noi tutti conosciamo: l’immaturità della nostra democrazia, la mediocrità e la vigliaccheria di parte delle nostre classi dirigenti pubbliche e private, le lungaggini del potere giudiziario, la disorganizzazione cronica imperante, che costringe la gente a lavorare in un clima in cui si alternano frenesia a indolenza, il familismo che incatena due o tre generazioni all’interno del nucleo originario, in blocchi monolitici parcellizzati che ci rendono diffidenti gli uni rispetto agli altri e fanno sì che nonni e genitori costituiscano l’unico welfare possibile, a compensare le inefficienze del nostro sistema pubblico e del nostro stato sociale.
Cari utenti e care utentesse, qualcuno deve pur dirvelo, ma finché questo paese sarà afflitto dall’incesto psicologico, non sarà mai indipendente e autorevole agli occhi dell’Europa e del Mondo. Un paese autorevole è un paese costituito da persone emancipate che non hanno paura di lasciare mamma e papà per andare verso gli altri, verso la vita. Mi rivolgo agli amici e alle amichesse che credono che un’uscita dall’Unione Europea possa portare dei benefici al nostro Belpaese e trasformarlo immediatamente in una grande potenza politica e militare: non accadrà nulla di tutto questo e, per citare il mio grande amico Francesco Cossiga, del quale ero segretamente innamorata e verso cui erano rivolte le mie fantasie più sconce, durante il discorso con cui rassegnò le dimissioni da Presidente della Repubblica nell’Aprile del 1992, “forse questa è una benedizione di Dio”.
Purtroppo non siamo sufficientemente adulti per migliorare la nostra nazione, non siamo comunità, in noi prevalgono spinte endogamiche a discapito di quelle esogamiche.
So che questo post spezzerà il cuoricino di qualcuno, ma finché non ci sarà una sveglia collettiva, finché non ci renderemo conto che le nostre presunte sicurezze non sono altro che gabbie, non ci sarà partito, movimento politico, leader carismatico in grado di trasformare integralmente un contesto sociale statico e cristallizzato come il nostro.
Ora scusatemi, torno a sculettare come una fichetta sulle note frizzanti e sbarazzine di questo capolavoro. Buon ascolto.