Cambi di Casacca

Leggo quest’oggi, con la solita punta di masochismo che talvolta mi contraddistingue, l’irritante “Caffè” di Maximum Gramellina, il lanuginoso editorialista clitorideo dal cuore di panna del Corriere, mentre si scaglia con il suo velato e prudente umorismo da quattro soldi contro il solito bersaglio tutto sommato debole, con lo scopo di campare sereno e di non avere fastidi. In questo caso, l’oggetto della sua “satira” è il senatore Vitali, reo, dal punto di vista di Gramellina, di aver sostenuto in un primo momento l’appoggio a un eventuale governo Conte ter, per poi ritirarlo a seguito di un colloquio telefonico con Salvini e Berlusconi, che in qualche modo lo hanno riportato a più miti consigli, facendo leva forse anche su un legame affettivo che il Vitali nutre per il partito presso cui ha sempre militato. Ci può stare, è umano, accade nel mondo del lavoro, accade anche nel mondo della politica, sovente dipinto come una sorta d’inferno i cui rappresentanti sono il più delle volte etichettati alla stregua di demoni subdoli e privi di scrupoli.

Purtroppo, è un refrain alquanto noto quello di scagliarsi contro i cambi di casacca, contro i cosiddetti “voltagabbana”, ma in linea di massima mi sento di ricordare ai giornalisti bacchettoni e noleggiatori di opinioni, per dirla con Kierkegaard, sempre pronti a contare il pelo nel culo dei politici e a frugare nelle loro mutande, non facendo il minimo caso alla trave nel loro oculo, che tutto questo è consentito dall’articolo 67 della Costituzione Italiana, che non prevede alcun vincolo di mandato per i parlamentari. Si chiama democrazia ed è quello che avevano in mente i nostri padri costituenti quando hanno redatto la nostra carta, uomini senza meno con più midollo, con più spina dorsale e con più uccello di Gramellina. Un deputato e un senatore, in base alla nostra legge fondamentale, può fare il cazzo che vuole, con buona pace di Massimino, ma volendo anche di Travaglio e di Scanzi.

Ecco perché vorrei che questo blog si tramutasse in una sorta di lido, un’isola che accolga a braccia aperte tutti gli uomini e le donne libere che, negli anni, sono stati infangati dalle penne affilate e rancorose di certo giornalismo. Oserei proferire che, al contrario di quanto affermato dai media mainstream, i veri statisti e attuatori della nostra Costituzione sono i vari Mastella e consorte, De Gregorio, Scillipoti, Razzi, lo stesso Vitali, veri uomini di Stato che hanno agito sempre con responsabilità e senso delle istituzioni, coerenti con i loro valori e perseguendo la rettitudine morale e la virtù che si confaceva a De Gasperi, De Nicola, Pertini, Saragat.

Non abbiate paura, amici voltagabbana, ci sono qui io a difendervi. Lotterò sempre al vostro fianco. Cambiare casacca non fa di voi dei traditori, altresì degli uomini liberi, dei raffinati negoziatori, un esempio per noi cittadini e un simbolo di democrazia.

Consultazioni e Prima Repubblica

Iniziano le consultazioni, alla ricerca di una nuova maggioranza, una consuetudine del nostro sistema parlamentare, sovente considerato lento e inefficiente. Non so voi, ma è da un po’ di tempo a questa parte che non si sente più parlare di questa impellente e ossessiva necessità di fare “le riforme”, di garantire la stabilità di governo, un tormentone cominciato dai tempi di Bettino Craxi che ha ripreso forza con la discesa in campo di Berlusconi e su cui parecchio ha insistito il Presidente Emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, specialmente negli ultimi anni del suo mandato. A mio modesto avviso, questa spinta riformatrice, questo voler rendere a tutti i costi i processi decisionali più snelli con l’obiettivo presunto di rendere la macchina dello Stato più efficiente ha avuto come esito principale l’emergere di leader di partito megalomani e affetti da profondi deliri di onnipotenza, i quali sgomitano, assetati di fama, di potere e di gloria, con lo scopo di poter lasciare un segno e passare alla storia come novelli Charles De Gaulle, tra coloro che hanno finalmente cambiato l’Italia modernizzandola.

Penso a questi colossi dai piedi d’argilla, ai loro ego ipertrofici, alla loro dipendenza patologica dal consenso, alla mancata rivoluzione liberale di Berlusconi, alla “Buona Scuola” e all’orrenda riforma costituzionale (fortunatamente bocciata) di Matteo Renzi, allo shock fiscale e ai confini chiusi di Salvini, in quest’ultimo punto del programma superato di gran lunga dal Covid-19 e mi sovviene un dialogo tra Alcibiade e Socrate, nel quale il filosofo ammonisce il politico ateniese dicendo: “Questo io temo più di tutto: che tu, diventato l’amante del popolo, vada in rovina”. Ci troviamo circa tra il 450 a.C. e il 400 a.C. e questo conferma il fatto che siamo da millenni una manica di pecoroni senza spirito critico, che si fanno intortare dal primo pifferaio arruffapopoli con un’autostima di cartapesta e a caccia di consenso.

Va benissimo così, l’umanità, e di conseguenza la società, è nevrotica e funziona così da sempre, nessun rancore, nessun astio verso il genere umano, amo profondamente le persone, ma ho una grande nostalgia per la vecchia Democrazia Cristiana, per il centro, un centro che trasudava fermezza e staticità, quei meravigliosi tempi della democrazia “bloccata”. In fin dei conti, lo sapete meglio di me: questo paese non ha bisogno di nessuna riforma delle istituzioni. La politica è arte, arte del dialogo, arte oratoria, arte del compromesso, ma, soprattutto, profondo pragmatismo e la Prima Repubblica è stata un vero capolavoro da questo punto di vista. Non avevamo tifoserie del cazzo, gente che considera il partito per cui vota alla stregua della squadra del cuore. Avevamo i soliti vecchi volponi, inchiodati perennemente alle loro poltrone, ma dei quali rimpiangiamo il senso di grigia sicurezza che erano in grado di trasmettere. Erano un’autentica certezza e al massimo ci si lamentava per l’aumento delle tasse.

Va bene, siamo d’accordo, molti di voi contesteranno il fatto che dal 1946 al 1994 abbiamo avuto una cinquantina di governi, abbiamo avuto Tangentopoli, condivido. Ma sapete cosa vi dico? Chi se ne fotte. Mi sento di proferire che l’unica riforma auspicabile per tornare a far splendere il nostro glorioso paese sia quella di triplicare il numero di deputati e senatori, aggiungere una terza assemblea legislativa oltre alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica, inserire un ulteriore organo di controllo per l’approvazione delle leggi dopo la Corte Costituzionale e modificare una volta per tutte il sistema elettorale in senso proporzionale e senza alcuna soglia di sbarramento tramite legge costituzionale, da inserire come secondo comma dell’articolo 139 per cui non sarebbe più oggetto di revisione assieme alla forma repubblicana. Sarà bellissimo avere un Parlamento con una ventina di partiti al suo interno, con maggioranze completamente differenti tra Camera, Senato e terza assemblea e attendere mesi, forse anni, prima della formazione di un governo che durerà al massimo un mese, con un Presidente del Consiglio proposto unicamente dal Parlamento e nominato dal Presidente della Repubblica.

Date retta a una vecchia rotta in culo come me: siamo troppo pigri per cambiare le cose. Inaspriamo il parlamentarismo e le burocrazie, non cambiamo niente e, soprattutto, smettiamola di interessarci e di parlare di politica come se stessimo parlando di calcio. Siamo patetici, nel nostro fanatismo da quattro soldi e, soprattutto, l’unico sistema bipolare lo vedo nel funzionamento dei vostri cervelli del cazzo, cari millenials.

Viva la Prima Repubblica, viva la Democrazia Cristiana!

Amore Borderline

Finalmente avete trovato il partner giusto, l’anima gemella, o voi millenials, o voi generazione fiocchi di neve, eterni adolescenti così complessi come dite di essere, così tormentati, travagliati, difficili, incapaci di trovare una collocazione in questo pazzo mondo etichettante, ma al contempo liquido e in divenire, eternamente incompresi, con il vostro passato colmo di dolore usato come bandiera, come vezzo, con la vostra sensibilità considerata dono prezioso e raro, capaci come siete di sentire il doppio e in anticipo, di sentire la pioggia prima ancora che vi cada addosso e di sentire le urla di chi piange in silenzio, quando in verità avete semplicemente dimenticato di prendere i vostri antidepressivi del cazzo. Tutto fluisce, c’è affinità a letto, c’è affinità intellettiva, vi sentite reciprocamente a vostro agio. Avete finalmente l’occasione di poter sedurre l’altro con i vostri tormenti, con la vostra psiche malconcia, con l’amore non ricevuto dai vostri genitori, usando la vostra presunta depressione da quattro soldi come arma per sentirvi un po’ maledetti, un po’ speciali, nella speranza che in fin dei conti questa nuova storia, questo nuovo flirt vi possa guarire finalmente dal dolore e farvi felici per sempre.

All’inizio le cose procederanno bene, vi troverete in un autentico incantesimo, in una simbiosi perfetta, due spiriti affini zoppicanti che si prendono per mano e si mettono in cammino verso l’oscurità in un incastro nevrotico, due pezzi di un puzzle raffigurante un cimitero, finché dopo poco tempo, qualcosa comincerà a scricchiolare e, improvvisamente, percepirete un lieve crampo allo stomaco: il vostro partner sta cominciando a rimescolare le carte, a seminare dubbi sul rapporto, a lasciare le cose in sospeso, a omettere, con lo scopo di mettere costantemente alla prova il vostro interesse nei suoi riguardi e tenervi eternamente inchiodati a lui, fino a logorarvi e a esaurirvi. Bene, quel crampo allo stomaco è il segnale: datevela a gambe e non guardatevi indietro, neppure per recuperare le valigie. In caso contrario, finirete in una ragnatela di manipolazioni, menzogne, giochi di potere, alternanza di seduzione e ripensamenti dell’ultimo secondo, alternanza di amore e freddezza glaciale. Siete diventati per l’altro al contempo indispensabili e una palla al piede, sarete alternativamente trattati con profondo amore e bersagliati dall’odio più cieco nei vostri riguardi, in quest’ultimo caso perché siete diventati degli stronzi incapaci di comprendere il suo dolore. Ai suoi occhi, siete diventati come sua madre, siete diventati come suo padre.

La verità è che siamo patologicamente affezionati al nostro dolore e alle nostre nevrosi e, salvo rarissime eccezioni, non molleremo tutto ciò neppure morti. La nostra ridicola infelicità ci serve per darci un’identità, riempirci le giornate e darne un senso deviato. Amiamo fare le vittime e basare i nostri rapporti sul tenere legato l’altro a noi unicamente tramite il senso di colpa, nella speranza che si faccia carico del nostro malessere, in un legame che assomiglia più a quello tra un nematode e un intestino che a quello tra due esseri umani.

Grazie a Dio, le storie d’amore non sono tutte così, esistono rari casi di persone mature e abbastanza risolte, ma ascoltate un vecchio rotto in culo sulla soglia dei sessant’anni come il sottoscritto: imparate a convivere con i vostri fantasmi, evitate di sbatterli in faccia a chi vi circonda come arma di seduzione e, soprattutto, state alla larga da qualsiasi infelice e succhiavita emotivo, per quanto costui possa affascinarvi con il suo essere tormentato e maledetto.

Se non disporrete della fibra necessaria, quest’ultimo sarà più forte di voi, nella sua fragilità.

Ne uscirete a pezzi.

Sconfitte

Siamo in pieno positivismo, abbiamo ormai una totale e cieca fiducia nel progresso e nella scienza, ogni scoperta scientifica ci fa sentire degli dei, autentici padroni del mondo, mentre un eventuale vero creatore, qualora ci fosse, con buona probabilità si fa grasse risate alle nostre spalle, ci osserva singolarmente e ride, ride di gusto, istericamente, ride della banalità delle nostre scoperte e delle nostre vite, narrate come straordinarie, ma in verità assai mediocri, sapendo che, dal suo punto di vista, abbiamo i secondi contati. Siamo solo fastidiose mosche di passaggio, ci posiamo sulla merda senza odore dei soldi e del potere, con lo scopo di dare un senso deviato alle nostre insignificanti esistenze, alla stregua di tenui scoregge emesse nell’infinità spazio-temporale dell’universo. Ci prefiggiamo mete, siamo ambiziosi, vogliamo essere ricordati, nel bene o nel male, vogliamo lasciare un segno, ricerchiamo compulsivamente un pubblico che ci ammiri, partner e amici che ci adorino, anziché amarci e volerci bene e sgomitiamo ossessivamente, malati come siamo di un narcisismo amplificato dalle reti sociali e dalla scomparsa dei padri, reali o simbolici che siano, ma comunque in grado di mettere dei sani limiti. Siamo divenuti totalmente incapaci di ammettere la sconfitta, di fare un passo di lato, contraddistinti da una tenacia che ai più può apparire come audacia, coraggio, caparbietà, ma invero ci rende semplicemente dei pericolosi psicopatici. Mi rivolgo ai più giovani di voi, nello specifico a voi adolescenti di quarant’anni, che vi sentite così indispensabili, così dinamici, incapaci di conoscere la vergogna, convinti che si possa rimpiazzare l’esperienza con una ricerca su Google. Penso a voi rampolli, penso a te, Ilario, al tuo volto inespressivo, alla tua ipocrisia e gentilezza che trasuda odio, rancore, desiderio di rivalsa, dolore, al tuo caschetto nazista del cazzo, ai tuoi sguardi omicidi, alla tua incapacità di ricevere un no come risposta, alle tue ascelle che sanno di cipolla, penso al me stesso di vent’anni fa, che considerava gli adulti come un ostacolo, penso alle urla cariche di rabbia verso quei presunti oppressori, in verità vittime del mio malessere e destabilizzati dai miei comportamenti fuori luogo. Penso ad Andrea Scanzi, fatto al novantasette percento di pene, alla sua sindrome da Peter Pan che occulta in realtà una profonda paura di morire, di non esistere più, di invecchiare. Penso a Lorenzotosa, a Delprete, a Mattia Santori, a Renzi, a Salvini, penso a costoro per non guardare ai miei difetti, penso a chiunque usi questa piattaforma per imporre la propria visione, alle guerre tra poveracci che si scatenano per una lieve divergenza di opinioni, alla presunzione di voler cambiare il mondo sapendo che ci penserà la natura a spazzarci via con un leggero soffio, a imporre un ricambio d’aria, da cui emergerà la stessa, o forse una differente società, ma comunque disturbata e nevrotica.

Rileggo al solito minuziosamente quanto scritto, sentendomi per la prima volta davvero sereno. Non vi è alcun astio nelle mie parole, ma un senso di compiutezza mi pervade, c’è davvero qualcosa di dolce nel perdere qualche battaglia, nel fallire, nel prendere atto della propria insignificanza, nel fare schifo.

Forse è questa la strada per la felicità, essere lungimiranti, avere una visione di lungo periodo, iniziare a pianificare con largo anticipo un’inevitabile uscita di scena e gioire se qualcuno ti cercherà con sincera attenzione nei tuoi riguardi, con affetto, con amore.

In sintesi, farsi, cristianamente ed evangelicamente, merda.

Ehi, Dino, figlio di puttana, questo post non fa ridere! Facci divertire, brutto stronzo!

Stasera no. 🙂❤

Molise

Ho viaggiato parecchio nella mia vita, ora che ci penso, sono stato nelle principali capitali europee ho perlustrato con maniacale puntiglio persino angoli remoti del Belpaese, sgambettando tra svariate regioni d’Italia.

Meraviglioso tutto questo, ma è possibile che in tutta la mia lunga vita non abbia mai incontrato, neppure per sbaglio, un molisano? C’è qualcuno del Molise su questo inutile blog? Voglio capire come siete fatti, la vostra fisionomia, i vostri tratti somatici, il colore della vostra pelle, il vostro accento, la vostra lingua, i vostri usi e costumi, le vostre antiche tradizioni, non ho idea di che razza di individui siate!

Fatevi avanti, non siate timidi, abitanti di questa minuscola e timida regione italica, sarò vostra amica, sarò dolce con voi.

Renzi e i Millenials

Mi è davvero difficile, negli ultimi tempi, guardare il viso di Matteo Renzi e non associarlo a un grasso e flaccido culo parlante, mentre indossa la mascherina a guisa d’un pannolone. Osservo le sue guanciotte, quei nei buttati un po’ a caso, quella boccuccia striminzita che ricorda l’ano minuto di uno stitico, mai lavato, riesco persino a percepire odore di letame quando costui proferisce verbo e penso ai danni irreversibili che questo figuro ha cagionato alle giovani generazioni. Renzi è stato colui che ha dato il colpo di grazia ai già coglionissimi millenials, giovani Steve Jobs della domenica “hungry e foolish”, ma perennemente mantenuti da mamma e papà. Ricordo con orrore il primo discorso da Presidente del Consiglio del giovane di Rignano sull’Arno, poco prima di giurare nelle mani del Presidente della Repubblica, subito dopo aver tradito con un cinismo che farebbe orrore persino a Belzebù il compagno di partito Enrico Letta, vecchio democristiano, siamo d’accordo, ma senz’altro con più dignità. Ricordo bene quel discorso agghiacciante, le sue parole dal sapore mefistofelico che suonavano più o meno così: ”Questo dimostra che anche un ragazzo come me, in questo paese, può farcela a diventare Presidente del Consiglio dei Ministri”.

Bene, quel “ragazzo” aveva trentanove anni. Sappiate che questo andazzo, cari giovani millenials, caro giovane Ilario, prigioniero della tua eterna adolescenza, del tuo entusiasmo posticcio, del tuo alzare la voce quando stai lavorando per metterti in mostra e compiacere i capi, mentre ti trema la voce tradendo in verità la tua enorme fragilità, questo trattarvi da “ragazzi” fino a trenta, quaranta, cinquant’anni serve solo ed esclusivamente a una cosa, e il vero potere lo ha capito benissimo: a pagarvi poco, quando vi va bene, e a farvi lavorare come dei muli, prospettandovi promozioni e aumenti che, mettetevi belli comodi, non arriveranno mai, mentre colmi di vana speranza continuerete a sacrificare affetti, salute fisica e mentale, benessere personale e a produrre, in attesa del vostro momento, del vostro giorno di gloria. Sia chiara una cosa: nessuno vi regalerà niente, i posti di potere disponibili sono pochissimi, e non sarete senz’altro voi, segaioli fuori tempo massimo, a conquistarli. I vecchi volponi sentono l’odore della gloria da molto lontano e vi batteranno sempre sul tempo. State correndo contro dei fuoriclasse, degli autentici maratoneti, mentre voi avete già il fiatone dopo un paio di chilometri, non potrete farcela, non ce la farete mai a raggiungere l’ambita meta, la doppia scrivania e i due monitor per il computer tanto agognati. Invero, ad aspettarvi in piedi al traguardo ci sarà lui, il vecchio Sorriso, elegantissimo e rilassato, che vi guarderà con commiserazione, strizzerà gli occhietti in un sorriso ipocrita, mostrando le simpatiche zampette di gallina agli angoli delle palpebre, si accomoderà alla sedia e vi ripeterà la solita frase che ormai vi ripete da circa dieci anni: ”Tranquillo Ilario, sei ancora giovane, non avere fretta, il posto sarà tuo l’anno prossimo.”

Insomma, per farla breve, cari giovani coglioni, c’è solo una cosa che dovete fare: tornare in ginocchio dai vostri padri e lasciar perdere ogni ambizione, ogni sogno, ogni speranza di essere migliori della generazione precedente. Lasciate a loro il potere, restituitelo alla loro esperienza e alla loro saggezza. Non avete la stoffa per comandare, non avete un’autentica visione, inquinata com’è da un narcisismo patetico che sa di rancore, rivalsa e ricerche su google.

Lo abbiamo visto, un personaggio di questo tipo ai posti di comando, è stato addirittura la quarta carica dello Stato, per ben tre anni.

Tre anni.
Non ripetiamo mai più lo stesso errore.

Mai più.
Grazie.

Responsabili e Costruttori

Responsabili, costruttori, parole d’un certo tenore, pregne d’una connotazione positiva, alla ricerca della fiducia per sostenere l’avvocato Giuseppe Conte per il bene del paese, l’affascinante professore esordiente in questo mondo un po’ birbantello della politica italiana e che ha conquistato i nostri cuori. Non metto in dubbio che una parte di costoro abbia a cuore le sorti della nostra nazione, ma oltre a questo c’è senza meno l’aspetto che più risalta ai nostri occhi: l’umano attaccamento al potere, la volontà di non perdere lo scranno e di rischiare di tornare a fare una vita ordinaria, schiantarsi al suolo dopo aver volato alto, nella convinzione di sentirsi immortali, migliori degli altri, liberi.

Ho riflettuto a lungo sul potere, così ambito, così famelicamente desiderato da noi tutti, autentica ossessione per i più ambiziosi di noi. Chiunque comandi è invidiato, detestato e, al contempo, venerato e adulato, nella convinzione di trovarsi dinanzi a qualcuno che abbia trovato la chiave per raggiungere libertà e felicità. Invero, la condizione di costoro è tutt’altro che tale, anche perché il potere è fondamentalmente una puttana, irrequieta e sfuggente. Un giorno giace al vostro fianco e vi promette amore eterno, il giorno dopo è nel bagno di un autogrill a succhiare l’uccello del vostro migliore amico. Guardate nel vostro quotidiano, nei vostri luoghi di lavoro, quanti sarebbero disposti a fare carte false per occupare la poltrona di un ufficetto fatto da quattro poveri cristi frustrati, in guerra tra loro da vent’anni per riuscire a portare il pane a casa. Guardate al giovane Ilario, con la lingua ormai consumata dalla quantità di culi leccati, che lavora fino alle undici di sera per compiacere i suoi superiori e intanto sono mesi che gli si ammoscia il cazzo tutte le volte che sua moglie lo desidera, considerata come un impiccio alla sua scalata. Guardate al vecchio Sorriso, il suo capo, che in prossimità della pensione gli promette di cedergli il posto e, all’improvviso, comincia a dannarsi l’anima per restare inchiodato alla scrivania, smentendo la sua promessa una settimana dopo, nella consapevolezza che la fine della carriera professionale lo farà cadere nel dimenticatoio, che la pensione lo costringerà a una paga mensile ridotta e a ridimensionare il suo stile di vita, che dovrà uscire di scena e quindi sperimentare una sensazione di morte dalla quale probabilmente non riuscirà a risorgere. Quotidianamente ho a che fare con uomini di potere, continuamente massacrati dai capricci di chi è a sua volta sopra di loro, costretti a passare una vita a recitare la parte dei freddi calcolatori, dei grigioni nei loro abiti eleganti che somigliano alle uniformi dei controllori di un’azienda di trasporti. Mi piace soffermarmi a guardare i loro occhietti, in realtà intrisi di colpa per la scia di cadaveri lasciati alle spalle per conquistare la vetta e dell’acuto terrore di chi, tutto sommato, percepisce la precarietà di quella posizione e sa bene che basterebbe un colpo di vento, un soffio da parte di chi a sua volta è sopra di loro per farli precipitare a terra da un momento all’altro.

Miei cari, dovessero proporvi posizioni di responsabilità, agite controcorrente: lasciate perdere, ringraziate e rifiutate con educazione. Vi ritroverete dipendenti forse da una droga al cui confronto l’eroina è innocuo zucchero filato. Il potere vi lusingherà, vi darà un miraggio di libertà, ma in realtà finirete con il diventare inesorabilmente degli schiavi, schiavi di chi vi comanda, ma, soprattutto, schiavi di chi comandate, schiavi dei vostri schiavi. Questi ultimi sanno bene che ogni loro mancanza ricadrà su di voi e faranno il possibile, se vi odiano, per far sì che veniate bistrattati e umiliati. Oltre a questo, sono proprio gli schiavi a essere i veri detentori del potere, visto che avete assoluto bisogno di loro e della loro manodopera, concetto che Hegel saprà spiegarvi meglio di me nella sua dialettica signore-servo.

Pertanto, siate liberi, siatelo per davvero. Uscite dalle gerarchie, o, se proprio non potete, restate degli umili sottoposti e divertitevi a fare impazzire i vostri responsabili, comportandovi in maniera imprevedibile e negligente, scavalcandoli il più possibile e facendo intendere loro quanto non abbiate bisogno di loro e del loro mendicare attenzioni nei vostri riguardi.

Perché questo è fondamentalmente un uomo di potere, salvo rarissime eccezioni di chi si è messo davvero al servizio degli altri e ha avuto la saggezza di ritirarsi al momento opportuno: un misero e vigliacco re, solo come un cane, che mendica le attenzioni del suo popolo.

Terra

Violati i taciti patti non scritti,
parole ch’hanno il peso delle pietre,
votati ad esistenze alquanto tetre
di regni ormai indifesi, non più ritti.

E crollano, sugli animi già afflitti,
castelli, cui gli arcieri con faretre,
difendon, mentre suonano le cetre
ai vecchi vincitori e ai danni inflitti.

È l’ora di fermar la frenesia,
di porre fine a tutte le battaglie
per ciò che dà parvenza d’eresia:

perduta fu pertanto questa guerra,
non scorra sangue per delle anticaglie,
a lungo abbiam volato, adesso a terra!

Renzi

In questi giorni stiamo assistendo al patetico teatrino politico nel corso del quale un leader di partito con un consenso ridotto ai minimi termini, un uomo che ha ormai la stessa autorevolezza di un amministratore di un condominio a Vaprio d’Adda, minaccia una crisi di governo nel bel mezzo di un’emergenza sanitaria mondiale. No, fermi tutti, non chiedo a nessuno di schierarsi a favore di questo o quel partito, non mi interessa fare un’analisi politica del fenomeno, quanto un’analisi umana del personaggio in questione.
In effetti, guardo a Matteo Renzi e ripenso alla sua gioventù, l’Ilario della politica, ormai totalmente in crisi d’astinenza da potere, successo e visibilità, in preda al suo ego ipertrofico e al suo narcisismo. Questa mezza tacca non ha in realtà nessuna idea, nessuna visione, nessun piano in mente. Il suo unico obiettivo è quello di contare qualcosa, esserci, perché è terrorizzato dall’idea di non esistere più. Guardiamolo, l’uomo che voleva cambiare l’Italia con la sua freschezza e voleva stravolgere la Costituzione Italiana nel nome di una rapidità nei processi decisionali, specchio di una frenesia giovanile che ha contagiato persino gli over sessanta, tramutandoli in una manica di patetici coglioni in ansia da prestazione e in competizione con individui aventi trent’anni in meno.

Ascolto la sua parlata toscanaccia, che appare ormai sempre più fuori luogo, che sa di stantio, di datato, di “già dato”, e penso che i personaggi come lui facciano perdere un sacco di tempo a chi ha davvero voglia di lavorare e di creare valore, di lasciare un segno con i fatti e non con un’arte oratoria priva di contenuti. Penso a come questi personaggi, che sono ovunque, non solo nella politica, non facciano altro che lottare contro i mulini al vento, opponendosi contro l’inesorabile scorrere del tempo, contro la vita stessa, che inevitabilmente te lo fa capire in mille modi che devi andare fuori dalle palle, che sei diventato una zavorra inutile, una palla al piede, insopportabile per chi ti circonda e che magari un tempo ti stimava.
Eppure, guardo a quest’uomo e alla sua faccia da cazzo moscio, immerso nel suo completo scuro, che lo fa somigliare ancora di più a un cadavere e tutto sommato giungo alla conclusione che provo per lui una pena acuta. Ripenso a questo eterno ragazzo un tempo pieno di sogni, entrato in politica per “rottamare”, per far fuori “i vecchi”, pieno di grinta, ma totalmente privo di esperienza, buon senso e saggezza. Del resto, si sa, la saggezza deriva dalla capacità di superare anche dolori profondi, che senz’altro il coglione fiorentino non ha vissuto, visto che la sua esperienza di vita più drammatica è stata probabilmente la sconfitta finale a “La Ruota della Fortuna”. In verità, siamo di fronte a un ragazzetto viziato con scarsa voglia di lavorare, un boy scout saputello che a un certo punto ha assaggiato il potere e il successo, la cosa gli è piaciuta e non vuole più mollarla.


Sapete perché lo so? Perché siamo tutti come Renzi, siamo tutti dei discolacci con una più o meno latente volontà di potenza, siamo identici a lui, siamo tutti suoi fratelli e sorelle e io non sono da meno. In alcuni contesti, ho una piccola quota di potere, la esercito e la percepisco anch’io, quell’ebbrezza, quell’illusione viscerale che ti fa andare il sangue al cervello e ti fa sentire migliore degli altri. Quando do un ordine a qualcuno e costui lo esegue mi sento un cazzo di rottinculo di Padreterno, finché non mi accorgo che il potere è una ragazzaccia isterica alla continua ricerca di nuovi partner, una battona da scoparsi a giorni alterni, talvolta in gruppo, in una bella orgia, una troia da condividere con altri infoiati come me e, a quel punto, dopo aver vissuto l’acuto dolore della perdita, credendo di essere l’unico per lei, sollevo le spalle e ci rido su, sapendo che fondamentalmente finirò a concimare la terra come tutti. Siamo tutti dei piccoli Renzi che cercano il loro posto su questo palcoscenico del cazzo, che ambiscono anche solo per un momento alle luci della ribalta, in questo circo di pagliacci chiamato vita, in cui tutti recitiamo un ruolo in commedia, nella gran parte dei casi per ottenere l’altrui compiacimento, schiavi come siamo del nostro essere bambini a vita, circondati da persone incompatibili a noi pur di non dirci soli.

Siate clementi, pertanto. Al posto di Renzi, ci comporteremmo allo stesso modo.

Buonanotte.

La Pandemia del Pensiero Positivo

I social network sono ormai letteralmente infestati di frasi motivazionali, citazioni di Fulatino de Tal, Menganito de Cual e Juan Nadie attribuite erroneamente a Gandhi, Steve Jobs o a quel fottuto onnipresente alcolizzato di merda di Bukowski. Quest’altra orrenda pandemia ha prescritto, da troppo tempo a questa parte e ben prima dell’avvento dei social, l’obbligo di “pensare positivo” e di rimuovere ogni dolore esistenziale, imponendoci di dare un’etichetta alle emozioni e rendendoci di conseguenza incompleti e scissi, grigi, falsamente sorridenti mentre l’anima strepita e implora pietà, esigendo la libertà di piangere e di incazzarsi, strafatti come siamo di ottimismo posticcio, al servizio di una produttività portata all’estremo e di un perfezionismo maniacale che alla lunga saranno causa, nel migliore dei casi, di diarree, orticarie, gastriti e depressioni croniche.

Fermiamoci per un momento a pensare alla degenerazione dell’arte. Questa rimozione di massa del dolore ha avuto, tra le tante conseguenze, la produzione di contenuti artistici mediocri, banali e squallidi. Chi ha prodotto contenuti immortali è sempre stato caratterizzato da infanzie traumatiche e profondamente pervaso da tormenti inesprimibili e da un’inquietudine esistenziale di fondo. Pensiamo a Jim Morrison, Jimi Hendrix, Kurt Cobain, Chris Cornell, Janis Joplin, per citarne alcuni del mondo della musica, pensiamo a Vincent Van Gogh, volendo menzionare un pittore lacerato da uno strazio indicibile. Costoro si sono letteralmente lasciati andare, si sono assunti la responsabilità della loro autodistruzione, in certi casi dando un taglio finale netto o, in alternativa, per opera di uno stillicidio cagionato da un abuso di alcol e droghe. Bene, siamo grati a costoro e alle loro depressioni del cazzo, per la grandiosità delle loro opere e del privilegio di poterne usufruire.

Pensiamo ora a ciò che resta al giorno d’oggi, invece. Figli di papà schiavi del consumismo con una videocamera acquistata su un qualsiasi portale di e-commerce, ed eccoci circondati da robaccia da voltastomaco come Casa Surace e The Jackal. Ragazzetti che dovrebbero tornare a frequentare le scuole dell’obbligo anziché tentare una carriera nel mondo della musica ed ecco a voi Il Volo, Benji e Fede, Gio Evan del cazzo, pronti a tormentarci nel prossimo festival di Sanremo. A questo si aggiungano i fotografi della domenica con relativo account Flickr e Tumblr, reduci da inutili costosissimi corsi, muniti di ridicole reflex, in perenne competizione tra chi predilige il marchio Canon e chi il marchio Nikon, che immortalano banali tramonti e si sentono novelli Cartier-Bresson. Per non parlare, infine, dei poetastri da quattro soldi che parlano di fiore cuore amore, vanno a capo senza criterio convinti di adoperare correttamente l’enjambement, totalmente a digiuno di metrica e di figure retoriche, nel vano obiettivo, scontatissimo, di attirare fica, lemma che, in questo caso, sto adoperando come sineddoche.

Noi tutti auspichiamo che questi ultimi altro non siano che fuochi di paglia che prima o poi cadano in miseria, ma per intenderci ed essere molto chiari: questa mia invettiva finale contro i presunti poeti da social non è affatto un mio tentativo di emergere. Al contrario, ritengo le mie poesie velleitarie, eccessivamente e forzatamente barocche e criptiche e, ogni volta che le rileggo, me ne vergogno e mi faccio schifo.

Vi invito pertanto a continuare come avete sempre fatto: a non mettere nessun like ai miei versi ridicoli e, possibilmente, anche a smettere di seguire questo patetico blog, in modo che possa tornare a fare il mio lavoro di esorcista senza distrazioni e continuare a umiliare Ilario ignorandolo con i miei silenzi.