All’Altare

Seguo ramingo, sin fissa dimora,
randagio vago inquieto e ancor ricerco,
remoto ormai da qualsivoglia alterco,
mia Itaca promessa, disti ancora.

Una ferita antica in me lavora,
son pianta che, sommersa dallo sterco,
levarmi per dar frutto almeno cerco,
e tollero il dolor ch’in me dimora.

In marcia! Si riparte, in alto mare,
la ciurma si rinnovi e m’accompagni
nel mio peregrinare senza fine

per chi si sente a viver vita incline
e dentro la palude non ristagni,
del darsi me sacrifico all’altare.



Regime

Se un alunno è positivo,
tracciamento e quarantena,
che il controllo resti attivo,
che nessuno provi pena

per fanciulli e genitori
e docenti sopra tutti,
tutti potenziali untori
da schedare, farabutti!

Quest’Italia è una galera,
un paese illiberale,
un ducetto ormai qui impera,
e il suo bene ci fa male,

ci fa schiavi ipocondriaci,
d’un’infida diffidenza,
tutto al più ci fa maniaci
e campioni d’indolenza,

che subiscono passivi
il volere capriccioso
d’un potere (restiam vivi?)
seducente e vanitoso.

Breve Storia d’Amore Pandemico

(Racconto in stile Phazyo)

Giuseppi emanò tutto il suo decreto nel vuoto normativo di Rocchi. Nonostante l’intensità di quell’atto amministrativo, la sua retta dei contagi non accennava a ridursi.
Rocchi sorrise, si liberò dell’abbraccio assistenzialista del suo amante e si inginocchiò dinanzi a lui. Giuseppi lo fissava intensamente, con aria al contempo interrogativa e maliziosa.
– Ma cosa fai, Rocchi? – domandò il bel Giuseppi.
– Amore mio – replicò Rocchi – mi preparo alla seconda ondata!
Entrambi risero felici.

Giornalisti

Giornalisti prezzolati,
che noleggian opinioni,
al governo allineati
danno tutte le attenzioni.

Non contestano il potere,
gli si mettono a novanta
e gli leccano il sedere,
mentre suona e se la canta.

Con nemici alla bisogna
terrorizzano le masse,
non conoscono vergogna,
col regime creano un asse.

San giostrar l’indignazione
della gente verso il male
e di eroi celebrazione
fan per farci la morale.

Prezzolati giornalisti,
la retorica pomposa,
d’irritanti moralisti,
per concluder è assai odiosa.

Non lasciatevi irretire
da codesti malandrini
che vi impongon cosa dire:
che sia Scanzi o Gramellini.

Fatica

Fatica, invadi l’alme e anche le membra
d’erranti cavalier cui nomadismo,
distanti, mai legger, senza lassismo,
pervade antica chiama e i cocci assembra

di parti tra lor scisse, è quanto sembra,
che ottenebran il corso con cinismo
che genera una morsa d’egoismo.
Che scarti inutil fisse, ciò rimembra!

Tra decezioni e pavori perseguon
la via d’un demone già sussurrata
nel mentre il tedio del mondo l’assale

e al ventre assedia un’immonda vestale
mai pia, sin remore, castra efferata,
salve eccezion: coi timori, proseguon!

Palma

Di te il ricordo ancor suscita pianto,
dell’amor tuo paziente, mai invasivo,
quel dar del qual giammai facesti vanto.

Quel fare allegro tuo, così incisivo,
che scosse l’acque mie, ch’allor stagnanti,
repente il lor fluir tornò massivo.

Ripenso ancor a pochi intensi istanti,
e senza men lo so: mai più rimpianti.

Nizza

L’occaso volge su Nizza, splendente,
spossato in spiaggia seggo, intanto osservo
la triade di colori, ch’un coacervo
di sogni ispira, a quel diman suadente.

Prima v’è il blu del cielo transalpino,
cinereo, da pochi astri puntellato,
nel mentre d’un aereo traversato,
con esso va la mente, al suo destino.

Dopo v’è il blu del mare scuro, nero,
che culla minatorio chi l’osserva,
spietate salse l’acque, tergiversa,
nella sua danza a riva, il suo mistero.

Infine v’è quel candido mosaico
di sassi, a cui s’alternan certi, grigi,
rimanda noi al dovere, troppo ligi,
ma è ciò che rende l’esser men prosaico.

L’occaso è giunto su Nizza, ormai fermo,
pervaso dal torpore ancora siedo,
e m’ancoro qui al suolo e ancor mi chiedo
s’è tempo di seguir col mio errar ermo.

Estate

Le rimembranze del tuo guardo perso,
quell’iridi cangianti grandi e fondi
ancor non rendon il mio cielo terso;

bramo una lagrima, che l’alma mondi,
che doni a quest’amor un altro verso,
e al cor letizia mova, che m’inondi.

Estate: fa’ ch’in pace cada, sperso,
non d’obblighi, nel mar permanga immerso.

La Nuova Frontiera delle Recensioni Negative

Da quando ho deciso di dedicarmi anima e corpo alla nobile arte dell’esorcismo in qualità di libero professionista, ho sempre avuto il privilegio di potermi approcciare alla gente, in particolare a quel ricco universo di individui che popola le imprese del nostro bel paese, con il piglio tipico dello scienziato. Questo mi consente di osservare le persone con l’occhio acuto e critico del ricercatore. Faccio una doverosa premessa: il sottoscritto si vanta da sempre di non avere amici, ma solo conoscenti. Gli esseri umani costituiscono per me più delle cavie sulle quali fare introspettivi esperimenti di carattere psicologico e sociale. Rifuggo volontariamente i rapporti fatti di comprensione, empatia, solidarietà, amicizia, affetto e amore, perché costituiscono un ostacolo alla produttività, all’efficienza e alla mia volontà di potenza di stampo nietzschiano. A conti fatti, mi relaziono in questo modo anche con mia moglie e con i miei figli, per insegnar loro a esser viscidi con il prossimo e imprevedibili, cercando di massimizzare il più possibile il profitto personale derivante dalle cosiddette “relazioni umane”. Sono un padre e un marito esemplare, lo so.

Questa premessa è doverosa in quanto, come già accennato altrove, il mio cliente principale è una “joint-venture” (lo so, è un vergognoso anglicismo, ma non so come tradurlo) tra una grossa multinazionale delle telecomunicazioni e Città del Vaticano. Questo, purtroppo, mi costringe quotidianamente a dovermi rapportare con i dannati ingegneri del settore dell’informazione, i quali hanno la fastidiosa usanza di chiamarsi tra loro “colleghi”, lemma aberrante che presenta una radice comune con la parola “collegamento”, che implica in qualche modo un legame, grave ostacolo al mio individualismo sfrenato.

Purtroppo, il duro mondo del lavoro mi costringe sovente a indossare maschere e a dover recitare la parte della persona solerte, diligente e collaborativa, il tutto naturalmente prodromico alla fatidica coltellata alla schiena da sferrare, per fare le scarpe al cosiddetto “collega” di turno (Ingegnere, stia sereno).

In taluni casi, la mia ipocrisia mi costringe, obtorto collo, a dover frequentare anche dei corsi di formazione organizzati dal mio cliente. Per intenderci, esattamente la scorsa settimana mi sono dovuto sottoporre a questa tortura di stampo medioevale. Peraltro, i corsi sono online e si è costretti a passare un paio d’ore indossando un paio di cuffie con microfono per ascoltare il solito relatore privo di pathos che spiega concetti d’inaudita aridità: “trasmissione di segnali”, “modulazione d’ampiezza”,”bit per simbolo”,”codifiche”, “rapporto segnale-rumore”, “probabilità d’errore”, tutta roba che naturalmente mi guardo bene dall’approfondire, ma, soprattutto, talmente priva di anima da essere con buona probabilità frutto dell’inventiva di quello zuzzurellone del demonio.

Eppure, grazie a Dio, quel giorno il giogo è stato reso più dolce e il peso più leggero da un evento che, con buona probabilità, potrebbe costituire una nuova frontiera nell’ambito delle recensioni negative.
Durante lo svolgimento della lezione, mentre attendevo ansioso e annoiato il termine di quell’incubo, in modo da poter pranzare, bere il mio caffè e farmi finalmente una pera, il relatore, a un tratto, ha chiesto al pubblico di far presente se ci fossero delle domande in merito agli argomenti trattati. Specifico che l’uditorio era costituito da un centinaio di ingegneri, rigorosamente connessi dal loro domicilio con il volto occultato, visto che la gran parte di loro lavora ancora da casa a causa della pandemia.
Bene, a questa domanda da parte del docente, l’unica risposta pervenuta è stata quella del rumore di uno sciacquone: qualche burlone, profittando dell’anonimato garantito dalla piattaforma di e-learning, ha tirato lo scarico del cesso rendendo partecipe tutta l’audience della sua critica neppure troppo velata.

Anonimo cacatore, chiunque tu sia, se stai leggendo questo post, sappi che voglio ringraziarti pubblicamente, per aver reso più lieta quella terribile giornata.

Ti voglio bene.

Dino

 

 

Ancora sulla Mosca al Culo

Voglio riproporre alla vostra attenzione questo post, scritto circa tre mesi fa, all’interno del quale muovo una critica nei confronti della nostra classe giornalistica, in taluni casi schiava del proprio narcisismo e dei propri deliri di onnipotenza che, se non tenuti adeguatamente a bada, rischiano di convertire il giornalismo da mera narrazione dei fatti a piazzismo e propaganda. Nello specifico, all’interno del post cito un blogger che, in un suo profilo social, si definiva con orgoglio “giornalista senza patentino”.

Bene. Volete sapere cosa è accaduto? Il blogger in questione ha di recente cancellato quella dicitura dalla biografia del suo profilo. Ora, non so se la sua scelta sia dovuta a questo mio post e lo dubito alquanto, visto che il personaggio in questione ha un sito e una pagina ben più voluminosa in termini di utenti e visitatori, rispetto a questa autentica stronzata che ho messo su (credetemi, lo penso davvero). In ogni caso, non vi nascondo che se davvero questo mio articolo è stato in grado di sortire questo effetto, la cosa mi stupisce in positivo. Evidentemente, il blogger in questione dimostra di saper fare autocritica e questo lo rende una persona vagamente migliore, rispetto a vari pucciosi e cucciolosi personaggi, novelli chierici progressisti e sacerdoti del politicamente corretto, permalosi all’inverosimile, che popolano gli squallidi social, frequentati naturalmente anche dal sottoscritto, senza meno non esente da difetti e da momenti di mediocrità e, se vogliamo, anche permalosità.

In ogni caso, è molto più probabile che stia solo sognando, ma non preoccupatevi: a breve si torna a scrivere pessime poesie.

Bacioni.