La Posta di Dino – Paturnia di una sorella affettuosa

Caro Dino,

mi chiamo B., e ho 34 anni. Ho iniziato a leggere il tuo blog e ti confesso che non riesco ancora a capire se tu sia completamente fuori di melone oppure hai capito tutto dalla vita.
Visto che inviti le persone a scriverti per raccontarti le loro paturnie, come le chiami tu, vado direttamente al dunque e ti metto alla prova. Hanno diagnosticato un tumore a mio fratello di 38 anni. Per il momento è incapsulato e dovrebbe essere rimovibile con una rapida operazione chirurgica. Ciò nonostante, la notizia mi ha colta totalmente alla sprovvista e mi ha destabilizzata. Mi sento in colpa perché la vita mi sta portando altrove, lo sento di rado e non ho la più pallida idea di come stargli vicino. Non oso neppure telefonare ai miei genitori, che ormai pronti a godersi la vecchiaia e la pensione, con due figli sistemati, si sono trovati di fronte a questa incombenza inaspettata.
Questo apparente cinismo con cui ti approcci alla vita, nasconde dal mio punto di vista una grande sensibilità, per cui sono davvero curiosa di leggere la tua risposta. Non cerco buoni consigli, solo un segno. Grazie.

Ciao B.,

cerchi un segno da me? Non sono né un profeta e né un guru. Ribadisco innanzitutto un concetto: io non esisto. Qualora esistessi, sarei il più miserabile essere umano mai apparso sulla faccia della terra, un egoista, un vigliacco, un bullo, un traditore, un ambizioso assetato di potere, un manipolatore, un esibizionista, un istrione, un narcisista e un peccatore.

Veniamo ora alla tua paturnia.

Queste cose non dovrebbero mai accadere, eppure succedono. Nonostante questi tempi caramellosi da paese dei balocchi, la gente continua ad ammalarsi, ma pensa un po’. Nonostante ci si affanni a ricercare istante per istante la felicità, girovagando di festa in festa, ostentando i nostri sorrisi tirati, fino ad avere le mandibole indolenzite, in compagnia di gente della quale non ce ne frega un beneamato cazzo, ma che frequentiamo per non sentirci soli, senza sapere che stiamo vivendo solo una parte della vita, visto che il dolore e la gioia si integrano e si completano armonicamente a vicenda. Sono millenni che provano a spiegarci questo concetto, ma siamo così bravi e testardi nel prenderci per i fondelli che l’umanità non ci arriverà mai a comprendere e metabolizzare questo aspetto elementare della vita.

Ma non divaghiamo.

Posso ben immaginare cosa sia accaduto una volta ricevuta la notizia. Il colpo arriva in pieno petto e scoperchia il vaso di Pandora. Ricordi, gioie, dolori, sensi di colpa di qualsiasi tipo iniziano ad emergere. “Se solo avessi telefonato a mio fratello una volta in più, se solo fossi andata a trovarlo più spesso!”, avrai pensato, vero? E’ una cosa estremamente destabilizzante. D’altro canto, questi eventi sono anche opportunità di riflessione e cambiamento, che però dobbiamo essere in grado di cogliere. Siamo noi a dover decidere di fare questo passo.

In certi casi, la prima scelta che istintivamente e impulsivamente siamo portati a fare, in una situazione di questo tipo, è quella di mollare tutto quello che stiamo portando avanti con fatica e sacrificarci per il bene della persona amata. In realtà, una decisione di questo tipo, apparentemente mossa dall’amore, nasconde una velata forma di esibizionismo, di esercizio del potere e di compiacimento verso noi stessi e gli altri, ed è scaturita, principalmente, dal senso di colpa. Una scelta di questo tipo serve a sentirci a posto con la coscienza, ma è fatta alla cieca, ignorando ciò di cui ha bisogno la persona amata e soprattutto non fermandosi neppure per un momento a pensare se questa possa essere la decisione più importante e giusta per noi. Il grosso rischio è quello di cadere nell’ottica del sacrificio ostentato, con il serio rischio di ritrovarsi invischiati nelle sabbie mobili del rimpianto e del rancore verso la persona stessa che soffre.

Purtroppo, che piaccia o no, non esiste nessuna persona più importante di noi stessi e innanzitutto, in una situazione simile, occorre tutelarci. In che modo, mi chiederai? Rispettando il nostro dolore, guardandolo in faccia, vivendolo, buttandolo fuori a suon di lacrime, quando e se ci riusciamo, perché non è così scontato, e cercando di cavalcarlo, perché senz’altro ci condurrà da qualche parte, a capire qualcosa in più di noi e del mondo che ci circonda.

Ti dirò di più. Non è solo dolore, quello che dobbiamo guardare in maniera oggettiva, ma qualsiasi forma in cui quest’ultimo si manifesta: rabbia, rancore, rimpianti, odio. Perché potrà succederti, di sentirti incazzata con tuo fratello e di sentire di detestarlo, nonostante la circostanza non lo consenta. E lo sai perché? Perché ti ha distratto dalla tua vita e dalla tua serenità, con la sua malattia.

A quel punto, se vuoi far qualcosa per lui, devi iniziare a fare qualcosa per te. I tuoi genitori, a loro volta, dovranno fare i conti da soli con questa terribile incombenza, e non è tuo compito consolarli. Tu, nel frattempo, tutelati e aiutati, in qualsiasi modo.

Ogni sofferenza è profondamente personale. Ed è questo il motivo per cui, purtroppo, credo che il dolore in molti casi non riavvicini le persone, ma le allontani ancora di più. Gli eventi dolorosi come questo, nei casi peggiori, possono addirittura distruggere famiglie e amicizie. Non sempre, ovviamente, ma capita. E’ la vita. Ognuno elabora le cose con i suoi tempi, che vanno rispettati.

Abbi cura di te. Inaspettatamente e improvvisamente, troverai il tuo modo personalissimo di stare vicina a tuo fratello, anche a distanza. Credimi. Te lo dice uno che di lutti ne ha superati parecchi, incluso il fatto di non esistere.

Infine, ti rassicuro su una cosa: ami profondamente tuo fratello. Non mi avresti scritto altrimenti.

In bocca al lupo.

Dino Veniti

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