Preghiera dell’Anno Nuovo

Ieri, una corsa nella nebbia milanese, per diradare le mie, di nebbie.

Domani, ultimo giorno dell’anno 2019, l’ultimo giorno di questi anni Dieci, preludio all’ingresso in un nuovo decennio, gli anni Venti.

Oggi, iniziamo a fare bilanci e a progettare, per l’anno 2020, verso il 2020.

E allora.

Andiamo avanti, in questo cammino di vigilanza e attenzione alla nostra voce interiore.

Andiamo avanti, in questo cammino verso la libertà e la sicurezza, due aspetti diametralmente opposti da far lavorare in armonia, per la nostra gioia, serenità, pace e, soprattutto, dignità.

Andiamo avanti, in questo cammino di crescita, di tensione verso l’età adulta.

Andiamo avanti, in questo cammino di apprendimento al dono, in particolare al dono di noi stessi agli altri.

Andiamo avanti, in questo cammino di fiducia, fede, speranza, progettualità, ottimismo e realismo al contempo.

Andiamo avanti, in questo cammino di perdono e gratitudine verso chi ci ha dato la vita, avendo ben presente che le spinte esogamiche devono prevalere, perché solo confrontandosi con la diversità c’è crescita ed evoluzione, seguendo chi ha detto Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa.

Andiamo avanti, in questo cammino verso la bellezza.

Andiamo avanti, in questo cammino verso la semplicità, verso l’essenziale.

Andiamo avanti, in questo cammino di individuazione, e non di individualismo.

Andiamo avanti, in questo cammino di bene per noi stessi, per il bene comune.

Andiamo avanti, in questo cammino di amore per noi stessi, per amare il prossimo nostro.

Andiamo avanti, in questo cammino verso l’Amore, in tutte le sue forme.

Andiamo avanti, in questo cammino verso la Totalità, verso un unico Dio, a immagine e somiglianza dell’Uomo.

Andiamo avanti, in questo cammino.

Perché Telemaco, senza paura, sappia che suo padre Ulisse sta arrivando.

Amen

 

Parla

Parla, apriti, lasciati andare.

Non ce la puoi fare da solo, non più.

E’ arrivato il momento, ed è questo che ti fa opporre tanta resistenza, ti fa avere paura.

Te le perdonano tutte, renditi conto di questo. Te le hanno perdonate, te le perdonano e te le perdoneranno in futuro.

E’ arrivato il momento di ricambiare tutto questo amore.

Devi solo capire come si fa, da dove iniziare, perché non ne hai idea, e hai una paura matta, di non so cosa, e provi tanto dolore, di cui non conosci l’origine, ma abbi fede.

Parla, apriti, lasciati andare.

Un nuovo capitolo

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Mi è arrivata una telefonata qualche giorno fa.

Era sera, ho visto la chiamata persa di Peppe, un mio amico dei tempi del liceo. Non l’ho mai scritto, ma ho frequentato il Liceo Scientifico, Piano Nazionale Informatico. Non ci sentiamo molto spesso, Peppe e io. Sono io a non cercarlo di solito. I rapporti con i compagni delle superiori, essendo stati molto intensi in quegli anni, sono per me molto difficili da gestire. Ho sempre il timore che loro si aspettino da me cose che non mi interessano più e di sentirmi etichettato. Mi sento ormai molto lontano rispetto a quei tempi in cui non mi conoscevo minimamente e non avevo idea di chi fossi, e mi sento profondamente infastidito quando qualcuno cerca di attribuirmi nuovamente delle maschere del passato, forse per una sorta di operazione nostalgia a cui fondamentalmente non voglio partecipare. Non che io non provi nostalgia per il passato, sono umano anche io ed è sano non negare nessun tipo di emozione, e siamo alla seconda doppia negazione, ma sono così immerso nel mio presente, così impegnato in una progettualità autentica della mia vita, che a volte tendo a considerare la nostalgia come una zavorra, una palla al piede che mi appesantisce e non mi consente di muovermi agevolmente. Devo dire però che, negli ultimi tempi, almeno con alcuni di loro sono riuscito a trovare un nuovo equilibrio, sono stato in grado di far passare questo messaggio e sembrerebbero aver capito. Sono bastati in realtà dei silenzi, non ho dovuto neppure sprecare parole inutili, del resto Elle Elle me lo dice spesso che la scuola di Palo Alto insegna che non possiamo non comunicare, e siamo alla terza doppia negazione. In ogni caso, sono felice di questo, stiamo provando, con pazienza e cura, a ricostruire un rapporto nuovo, basato sul rispetto reciproco delle nostre esigenze.

Dicevo dunque. Rientro dal lavoro e trovo la chiamata persa di Peppe. Ho pensato subito a una brutta notizia. Di solito Peppe, negli ultimi anni, mi chiama unicamente per comunicarmi brutte notizie, ad esempio che un nostro conoscente comune è morto, o peggio ancora, che si è sposato. Forse la volta più tragica è stata quando mi ha chiamato per dirmi che si sarebbe sposato lui, povero figlio.

Apro una piccola parentesi, giusto per intenderci. Non sono generalmente contrario al matrimonio. Sono contrario al matrimonio inconsapevole, cosa ben diversa. Quel matrimonio voluto da qualcun altro che non sia il diretto interessato. Forse la maggior parte dei matrimoni.

Ma non divaghiamo. Stavo cenando e ho persino lasciato a metà la mia insalata con tonno e mais, come se a qualcuno possa interessare cosa stessi mangiando, per prendere il telefono e richiamarlo. Ero contento di farlo e non vedevo l’ora di sentirlo, cosa che non mi capitava davvero da tanto tempo, forse perché quel giorno, dopo averne parlato con un caro amico, avevo deciso di iniziare a coltivare la tenerezza e la compassione, di riconoscere i miei sensi di colpa verso la mia famiglia di origine e gli amici del mio paesino, dopo tanta rabbia che serviva unicamente a mascherarli e ad allontanarmi da loro sempre di più. Il bello è che l’amico in questione aveva concluso la mia presa di posizione con la seguente frase: “Da oggi, si apre un nuovo capitolo!”.

E infatti, si è aperto un nuovo capitolo, eccome se si è aperto.

– Come stai Dino, hai sentito Vincenzo negli ultimi tempi?

Capisco immediatamente che è successo qualcosa a Vincenzo, porca troia. Lo capisco dal tono di voce di Peppe, è senz’altro così. Mi mordo la lingua e mi trattengo dal chiedergli direttamente se sia morto.

– Sì, l’ho sentito a settembre, qualche giorno prima del tuo matrimonio, per chiedergli l’IBAN a cui farti il bonifico per il regalo, visto che non l’avevi messo nell’invito. Perché me lo chiedi? E’ successo qualcosa?

A questo punto Peppe, come previsto, mi invita a mettermi comodo e inizia a raccontarmi che Vincenzo è un donatore di sangue. Mi racconta che dopo le analisi di routine che precedono la donazione, fatte in estate, gli era stata negata la possibilità di donare in quanto erano stati riscontrati dei valori anomali di globuli bianchi. Ha dovuto pertanto ripetere le analisi, prima a cadenza mensile, poi a cadenza quindicinale, poi quasi giornaliera, per scoprire, di volta in volta, che i globuli bianchi continuavano ad aumentare. Peppe mi ha detto in realtà che stavano diminuendo, pezzo di ignorante che non è altro. Ovviamente, mentre raccontava, era visibilmente scosso dalla cosa ed emozionato, per cui, nonostante la mia severità di cui recentemente sto prendendo sempre più consapevolezza anche grazie a Elle Elle, lo perdono.

Morale: pochi giorni dopo la telefonata che gli avevo fatto a settembre, e questo lo scrivo mentre ascolto Private Investigation dei Dire Straits, Live at Hammersmith Odeon, London/1983, Vincenzo ha scoperto di avere la leucemia.

Leucemia. La parola stessa suona come una coltellata, rimbomba, mi fa venire la pelle d’oca. Mi è arrivata come un pugno nello stomaco, questa grandissima puttana.

Il primo ciclo di chemioterapia non è andato a buon fine purtroppo. Adesso è in ballo con il secondo ed è sotto osservazione in ospedale perché purtroppo anche una febbre dovrà essere monitorata con estrema cura. Se anche il secondo ciclo non dovesse andare a buon fine, oltre a una cura sperimentale che sta seguendo, l’anno prossimo dovrà fare il trapianto di midollo.

Mi viene da pensare a una cosa molto semplice, che non è giusto che un uomo di trentacinque anni possa ammalarsi di leucemia, per giunta di una forma acuta. Ho veramente sentito un profondo senso di ingiustizia e di impotenza in tutto questo.

L’ho detto anche a Peppe: dopo Marianna, Riccardo, Pasquale, dobbiamo perdere anche Vincenzo?

L’ho chiamato ieri pomeriggio e mi sono sentito rincuorato: l’ho sentito tranquillo e combattivo, sono molto contento di questo.

Non posso che fare il tifo per te, amico mio, tieni duro.

Posso fare molto poco per aiutarti, e questo mi fa sentire ancora più incapace, ma almeno permettimi di dedicarti il mio affetto e il mio sostegno tramite questo stupido blog, anche se probabilmente non lo leggerai mai.

E anche se sei in tournée da un ospedale all’altro lungo lo stivale, spero tanto di rivederti a breve per prendere un caffè insieme.

 

Vacanze

Vacanza, da vacante, il richiamo del vuoto.

Il vuoto fertile, come lo chiama Roberto Ruga.

In questi giorni, svuotiamoci allora, liberiamoci, un passo alla volta, da ciò che è futile, da ciò che è nocivo per noi, consentiamo alle piante e ai fiori di crescere, agli alberi di dare frutti maturi.

Facciamo spazio dunque.

A ciò che merita.

A chi lo merita.

Si avvicina il Santo Natale

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Il Santo Natale è alle porte.

Si entra in sala. La tavola, ricoperta di tovaglie rosse su cui sono disegnate ghirlande, è imbandita di ogni ben di Dio. Il nucleo familiare si riunisce finalmente. Tre, in certi casi quattro, generazioni di piccolo-borghesi sedute attorno al tavolo. La generazione più giovane viaggia ormai tra i trenta e i quarant’anni, la generazione degli eterni adolescenti, degli eterni figli, guardata con disprezzo dalle precedenti, gli eroi, coloro che hanno fatto grande questo paese, pragmatici, duri, puri, bacchettoni, moralisti, polarizzati, dicotomici, giudicanti, morti dentro, noiosi.

L’odore dei formaggi e degli insaccati, del vino rosso, del timballo, del roast beef, dell’insalata, dei finocchi, della frutta fresca e secca, dei dolci, dello spumante, del limoncello e dell’amaro, insomma, di tutto il cibo che, servito in questo santo giorno sarebbe in grado di sfamare l’intera Repubblica Democratica del Congo, ha un unico scopo, quello di coprire l’odore pestilenziale dell’incesto psicologico, la puzza dell’invadenza, dei consigli non richiesti e delle domande inopportune e fuori luogo, causate da un sostanziale handicap emotivo che è alla base della totale incapacità di amare degli esseri umani.

Eccola, zia Antonina, che non vede l’ora che ti trovi una fidanzata da poter presentare a tutta la setta, a tutto il clan contorto nel rancore degli obblighi e delle norme non rispettate, degli inviti non ricevuti, delle eredità inique, succube delle spinte endogamiche causate dalla paura del diverso, dell’ignoto, del confronto. Zia Antonina, esatto. La stessa zia Antonina che porta avanti un matrimonio disastroso con un marito capriccioso e tiranno, che non ha mai avuto il coraggio di lasciare perché vittima della colpa e del giudizio degli altri, dell’incapacità di perseguire una vita propria e di far fruttare i propri talenti. La stessa zia Antonina che è talmente abituata all’odore di merda da non farci più caso e che ti invita in ogni caso ad immergerti, in quel bagno caldo fumante al cui olezzo pestilenziale non fa più caso. La stessa zia Antonina che vomita il suo rancore, la sua disperazione e la propria frustrazione sui propri figli, adducendo pretese da questi ultimi, caricandoli di un peso insostenibile e facendosi figlia della sua stessa prole, zia Antonina che non è mai cresciuta, zia Antonina che non è mai diventata adulta e pretende di dare lezioni di vita, zia Antonina che sta provando nuovamente a lasciare suo marito, ma non ne ha parlato con tuo padre che si è offeso perché in famiglia si condivide tutto. Sono alberi cresciuti male, alberi cresciuti storti, convinti di essere querce maestose. Non sanno quello che dicono, non sanno quello che fanno, non sanno chi sono.

La cena è terminata e il giorno seguente causerà inevitabilmente delle scariche di diarrea, nella migliore delle ipotesi, o, nel caso peggiore, una bella vomitata. Si è mangiato troppo, non si è abituati a farlo per tutto l’anno, ma è Natale. Si deve, bisogna, occorre farlo, cazzo. E’ il momento dei regali ora, ovviamente. Fiumi di soldi buttati nel cesso, tredicesime scialacquate, oggetti e capi d’abbigliamento che non verranno mai usati e mai indossati, doni che servono a coprire la colpa di essere stati totalmente inadeguati, che servono a sciacquarsi la coscienza, che servono a colmare un abisso, un vuoto invischiante e mortifero che non si ha il coraggio di guardare in faccia, che servono a rendere il proprio ego ancora più ipertrofico e a manifestare il proprio potere. Il regalo costoso, il regalo grande, il regalone, il guinzaglio, la catena, il potere che abbiamo su di te, o figlio, o nostro figlio, figlio della crisi economica, incapace di stare al mondo, fragile, sensibile, depresso, malato, che hai ancora bisogno di mamma e papà.

Eppure.

Qualcuno di recente mi ha detto di guardare a tutto questo con compassione, con dolcezza, con indulgenza. Loro non sanno, ma ti amano comunque. Non hanno idea di cosa tu abbia bisogno. Perché non ti riconoscono più, perché sei cambiato e non sanno più come prenderti, non sanno di cosa parlare, non sanno come parlarti, perché fondamentalmente sei difficile da interpretare, sei complesso, sei ambiguo, sei un ossimoro vivente.

E allora ci provo, faccio uno sforzo, sovrumano, ma lo faccio, a guardare questa tavolata di minchioni con un sorriso, senza abbassare troppo la guardia, mantenendo i confini sani che ho giustamente posto, ma guardando a tutto questo con affetto. Sono umani, fallibili, limitati, narcisisti, peccatori, vigliacchi, miserabili, imbecilli.

Imbecilli. Come te.

E per quest’anno, ho deciso, mi tiro fuori. Alla larga dal consumismo, alla larga dai miei fantasmi, alla larga dai miei carcerieri, ormai immaginari, ormai ininfluenti. Ce ne stiamo a meditare, al caldo, al chiuso, a leggere, a pensare, a rigenerarci, a tornare all’essenziale, a pregare a modo nostro, per noi e per chi soffre.

Ci proviamo, almeno, a imparare ad amare davvero, e, per dirla alla Erich Fromm, a farla diventare una vera e propria arte?

 

Giocasta

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Sono qui che ti osservo, Fica Totale.

Sei buia, enorme, minacciosa, invischiante, dentata, invitante.

I tuoi umori sono fetidi e velenosi, emetti miasmi, demoniache zaffate di zolfo, odore di uova marce.

Sei un buco nero, la tua gravità risucchia tutto e non lascia scampo, spaghettifica falli, cervelli, cuori, anime.

Ti guardo Giocasta, con rabbia stavolta, mentre sei legata nuda mani e piedi a quel tavolo di legno, mentre afferro una motosega, te la infilo tra le gambe e spingo. Inizio proprio da lì, da quella cazzo di Fica Totale dentata, fino a farteli saltare, quei denti gialli e cariati, fino ad aprirti il ventre, il petto, la gola, a tagliarti quella faccia da politicastra da quattro soldi, fino a dividerti in due parti uguali, mentre il sangue schizza dappertutto, sul mio volto, sui miei abiti, e la mia rabbia esplode in un urlo liberatorio, mentre guardo i tuoi resti con i miei occhi spiritati e iniettati di odio, sentendomi ebbro ed euforico, mentre mi godo il sapore metallico sulla lingua e sulle labbra.

Falsa e ipocrita puttana, merdosa burattinaia, crepa per adesso.

E adesso mi libero dai fili che mi tengono legato a te e corro a tuffarmi nel fiume, a ripulirmi del tuo sangue e a nuotare nudo, seguendo la corrente, verso la vita vera.

Ogni tanto farai ritorno, lo so, dovrò farmi trovare vigile.

Fica Totale, Puttana Globale, Madre Mortale.

Dario

Dario.jpgVorrei dedicare poche righe di condanna a un gioco che evoca una delle pagine più oscure della storia del ventesimo secolo.

L’uomo in foto si chiama Dario. Il suo volto, come potete osservare, è paralizzato in una smorfia di stupore e dolore. Si evince in maniera lapalissiana che è sveglio e cosciente. Ciò nonostante, viene sottoposto a torture e operazioni chirurgiche senza alcuna anestesia. All’interno del suo corpo, vengono inseriti ed estratti oggetti aventi le forme più svariate. Tutto ciò viene fatto nel nome di un puro piacere sadico e per sperimentazioni sull’uomo che rimandano ai crudeli esperimenti medici svolti dal dottor Josef Mengele, l’Angelo della Morte, nel campo di concentramento di Auschwitz.

Per questo Natale, invito chiunque, allo scopo di salvaguardare i valori repubblicani e antifascisti della nostra Costituzione, a non regalare L’Allegro Chirurgo ai propri figli.

Siediti lungo la riva del fiume

Siediti lungo la riva del fiume e osservalo, perché non c’è altro da fare.

Guarda l’acqua torbida che scorre e abbi pazienza, nessuna azione concreta può decontaminarla, ripulirla definitivamente. Sarebbero soluzioni temporanee. Quella che vedi è acqua che non può fare altro che fluire, e tu non puoi far altro che star lì a guardarla, a osservare la corrente che porta via con sé pesci morti, plastica, liquami, spazzatura, merda, a sopportare i miasmi e l’odore terrificante che sei l’unico a percepire, che prova a invischiarti, a travolgerti, che ti fa sentire solo, incompreso e arrabbiato verso un mondo che percepisci come giudicante e superficiale.

Tieni duro, aspetta, sopporta, osserva, non giudicare, respira. Lascia che accada, che l’acqua si ripulisca.

Forse una cosa potresti farla: raggiungere quel macchinario infernale in fondo al sentiero, che produce rifiuti e li versa nella sorgente, e provare a spegnerlo, anche se inciamperai e cadrai, anche se ti sbuccerai le ginocchia e i palmi delle mani e, soprattutto, anche se il vento lungo il cammino ti farà volare via come una foglia e ti riporterà spesso al punto di partenza. Non scoraggiarti, credici, riprovaci, entraci di nuovo, ogni giorno farai un pezzo di strada in più. E poi di nuovo.

Siediti lungo la riva del fiume e osservalo, perché non c’è altro da fare.

Cioccolata Calda

Una cioccolata calda in compagnia.

Seduto a quel tavolo, con Ale, sua moglie e suo figlio tra le mie braccia. Questo bambino dolcissimo mi fa sorridere e mi riempie il cuore di gioia, ma mi sbatte in faccia con crudezza che di tempo ne è passato davvero tanto. Mi si stringe il cuore in gola, oltre al fatto che è domenica sera e il buon Giacomo lo diceva che tristezza e noia, che al travaglio usato Ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Perché siamo adulti ed è una diaspora, un paio sono spariti e neppure mi mancano. E Andrea a Febbraio parte per la Spagna per una nuova vita.

Non ho molto da dire, se non che mi si stringe il cuore in petto, perché mi mancate da morire ragazzi. Mi mancano quegli anni e quelle certezze, magari non sapere dove andare, ma sapere con chi andare.

Adesso mi trovo in pieno viaggio, in alto mare. Non vedo ancora nessuna casa, una nuova casa, una destinazione. Dove sto andando?

Questo viaggio mi dà gioia e dolore, mi fortifica e mi abbatte. Ma l’unica mappa a cui posso affidarmi sono i segni del Divino, che solo chi ha buon fiuto può seguire.

Dove sei, Terra Promessa? Qual è la direzione da seguire?

Dammi un segno Papà. E guida i miei amici verso la loro, di Terra Promessa. E fa’ che non ci dimenticheremo l’uno dell’altro e che resteremo fratelli fino alla fine.

E abbracciami e fammi piangere un po’ ora, perché non sempre ce la faccio.

Amen